Libri di denuncia sul ruolo della donna nella società
Partiamo dal principio. Il racconto dell’ancella è stato uno dei primi romanzi femministi dell’epoca moderna. Pubblicato nel 1985 e ambientato in un futuro distopico, getta le basi per una narrazione che fa della denuncia sociale il fine ultimo ma non l’unico. La storia è seguita con piacere anche da chi cerca solo una lettura d’evasione.
Riportato in auge dalla serie tv The Handmaid’s Tale che vede Elisabeth Moss nel ruolo della protagonista, è stato il libro più letto del 2017 secondo Amazon. E il seguito, previsto per settembre 2019, è probabile che entrerà nella Top Ten dei best seller book di quest’anno.
Citando un articolo del The Guardian: “Il racconto dell’ancella esplora i temi della sottomissione della donna e dei vari mezzi che la politica impiega per asservire il corpo femminile e le sue funzioni riproduttive ai propri scopi.”
Avevo letto questo libro anni fa, ma di quella lettura mi erano rimasti impressi pochi elementi: il cappello con le alette bianche che erano costrette a indossare le ancelle e il finale. Ho deciso quindi di rileggerlo, prima di approcciarmi alle più moderne rivisitazioni del tema (Vox e Ragazze elettriche).
I flussi di pensiero, in alcuni punti deliranti e in altri più lucidi, appaiono sempre realistici, condivisibili. Tanto realistici nella loro follia da gettare un’ombra d’inquietudine su tutto il romanzo.
Il lettore immagina senza problemi di poter arrivare a quegli stessi pensieri, empatizza con la protagonista e con le sue disgrazie, tifa per lei, inizia a odiare il sistema (ed è qui che scatta il meccanismo di denuncia sociale).
Il punto di forza della scrittura della Atwood è il “detto non detto”. Non ci sono mai descrizioni particolareggiate, è tutto solo sfiorato, appena accennato. Ed è questo che rende il racconto inquietante. Un’inquietudine sottile che si insinua in ogni pagina e che riesce a emozionare. La Atwood dimostra una maturità di scrittura che i romanzi di Dalcher e Alderman sono ben lontani dall’eguagliare.
Se ci si approccia al tema per la prima volta, Il racconto dell’ancella è dunque un punto di partenza imprescindibile, e a suo modo più moderno, nonostante si tratti di un romanzo di più di trent’anni fa.
Veniamo ora a Vox, di Christina Dalcher, uscito nel 2018 e chiaramente ispirato (anche per ammissione della stessa autrice) al lavoro della Atwood.
Il romanzo è scritto molto bene. Si presenta come una narrazione fluida in prima persona presente (che di solito trovo un po’ legnosa perché si rischia di cadere in una lista di micro-azioni prive di verve, ma in questo caso non succede).
L’idea alla base del romanzo è brillante, l’atmosfera soffocante; è molto ben costruito il rapporto madre/figlio, anche perché ci si allontana dal classico rapporto conflittuale coi genitori per spostarsi verso il contrasto di genere.
Quello che non mi ha convinta è il finale: tirato via, poco approfondito. Avrei tagliato il romanzo prima, meglio un finale aperto di uno affrettato. Senza contare che un libro come questo, in cui il mondo è stato costruito e mostrato al lettore in un arco temporale ampio, ha bisogno di un finale che si prenda il proprio spazio, o ha bisogno di un finale aperto, in modo da lasciare al lettore il tempo di metabolizzare e trarre le proprie conclusioni.
Dunque, sto dicendo che non lo consiglio? Affatto. La tematica, la narrazione e la voce soffocante (permettetemi il giro di parole e il riferimento al titolo) ne fanno un buon prodotto editoriale.
Poteva essere il nuovo Racconto dell’ancella, ma non lo è. Questo non significa, però, che si tratti di un romanzo da buttare. Resta un prodotto valido, che fa riflettere, e che tiene ancorati alla sedia (o al letto o al divano) finché non è terminato.
Ma non aspettatevi un epilogo degno dell’idea iniziale.
A proseguimento del filone narrativo sul ruolo della donna nella società, veniamo ora a Ragazze elettriche di Naomi Alderman.
Questo romanzo si colloca a metà fra i primi due citati poc’anzi: sicuramente meno suggestivo del Racconto dell’ancella (e a questo proposito c’è da dire che subisce un po’ il confronto, avendolo letto poco dopo il testo della Atwood), è in ogni caso di gran lunga migliore di Vox. È strutturato con più cura, e ha un finale degno, che a mio parere è una piccola chicca.
In quest’opera l’autrice ci mostra un ribaltamento della situazione odierna.
Mentre i due libri precedenti vedevano la donna nel ruolo di vittima, qui abbiamo un mondo in trasformazione che porta a un’inversione di ruoli: sono gli uomini che divengono vittime e le donne carnefici. Il pretesto per cui ciò accade ha del fantascientifico, però l’evoluzione progressiva della società non solo è plausibile ma è anche probabile che corrisponda alla reale evoluzione subita dall’umanità nel corso della Storia (solo al contrario).
Cosa mi è piaciuto: la sottotrama dell’autore uomo che invia il manoscritto alla propria editor donna (in un mondo in cui sono le donne il sesso forte). E qui vi chiedo di prestare attenzione all’ultimissima frase del romanzo, che non vi riporto per evitare spoiler ma che da sola riesce a condensare il messaggio dell’autrice.
Cosa mi è piaciuto meno: il punto di vista corale, la difficoltà che si avverte nelle prime pagine a “entrare” nella storia per via della cacofonia di voci che si sovrappongono. Si tratta di una tecnica narrativa più moderna rispetto a quella utilizzata dalla Atwood ma allo stesso tempo meno immersiva (in questo Vox con la sua prima persona fissa riusciva meglio, peccato per quel finale tirato via che rovina tutto).
In conclusione, lo consiglio? Sì, e molto più di Vox. È un’opera ben scritta, interessante e allo stesso tempo d’evasione.
Ma la Atwood resta la Atwood.
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